Concorrenza sleale in farmacia

In questi ultimi anni il mercato farmaceutico si è aperto alla concorrenza rendendo configurabile anche l’illecito della concorrenza sleale.

In questi ultimi anni, finita la situazione di monopolio, il mercato farmaceutico si è aperto alla concorrenza (farmaci di automedicazione fuori dalla farmacia, nuovi competitor quali parafarmacie e corner, la possibilità di fare sconti, ecc.), rendendo quindi configurabile anche in questo comparto l’illecito della concorrenza sleale. Essa ha ancora, nondimeno, ambiti limitati, perché vige pur sempre il principio per cui va assicurato alla farmacia un respiro economico, tale da favorire il buon funzionamento imprenditoriale, al fine di garantire un efficiente e capillare servizio farmaceutico.
Gli atti di concorrenza sleale vengono indicati in generale dal Codice  Civile e, in particolare, dal Codice deontologico del farmacista. L’art. 2598 Cod. Civ. fa una distinzione tripartita:
1)    ipotesi confusorie e di imitazione servile:
2)    ipotesi denigratorie e di appropriazione di pregi
3)    ipotesi di chi “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi delle correttezza professionale e idoneo a danneggiare la altrui azienda”.
Nei primi due casi è assai difficile rintracciare peculiari fattispecie applicabili anche alla farmacia e, quindi, usualmente si fa riferimento al terzo caso.
Ma vediamo alcuni esempi concreti.

Ingresso comune per ambulatorio e farmacia – L’art. 45 del RD 30 settembre 1938 n. 1706 stabilisce che “gli ambulatori medico-chirurgici annessi alle farmacie devono sempre avere l’ingresso diverso da quello delle farmacie, alle quali sono annessi e non debbono avere alcuna comunicazione interna con le stesse”. L’ipotesi di esercizi semplicemente contigui, senza comunicazione diretta tra di loro, non è specificamente presa in considerazione da nessuna norma e, quindi, non dà luogo a concorrenza sleale, a meno che non si rientri nell’ipotesi 3 dell’art. 2598 del Codice civile sopra indicata, di comportamenti illeciti e idonei a danneggiare le farmacie altrui, che trovano in tale contiguità il loro presupposto.

Accaparramento di ricette – L’art. 15 del Codice deontologico del farmacista stabilisce il divieto secondo il quale “il farmacista non deve promuovere, organizzare o aderire a iniziative di accaparramento di prescrizioni mediche comunque e dovunque poste in essere”. Ovviamente, la capacità professionale di un farmacista che sa convogliare su di sé la clientela non rientra in questo ambito, riservato invece a chi forzatamente recupera ricette con una sorta di prevaricazione. Tant’è vero che il Codice deontologico non fa riferimento all’accaparramento della clientela -attività da cui il cittadino può trarre vantaggi (miglior servizio, maggiori sconti, ecc.)- ma a un’attività fraudolenta capace di deviare l’afflusso spontaneo della ricetta, limitando la libera scelta del cliente. Il tema è assai delicato, se pensiamo alle ipotesi di “farmacia fiduciaria”, quella che raccoglie le prescrizioni di alcune comunità, come una casa di cura, o un ricovero, o un’azienda. Siamo entro l’ambito dell’accaparramento di ricette? La risposta è positiva, perché la norma del Codice deontologico è precisa: la raccolta delle ricette è sempre vietata.

Rapporti con i sanitari – L’art. 14 del Codice deontologico del farmacista stabilisce al primo comma che “i rapporti con i sanitari abilitati alla prescrizione dei medicinali non devono essere motivati e condizionati da interessi o vantaggi economici”. La violazione si concretizza quando il comportamento della farmacia è evidentemente mosso da interessi economici, tali appunto da configurare una concorrenza sleale.

Pubblicità – L’art. 20 del Codice deontologico stabilisce che “il farmacista non può accettare né proporre l’esposizione di comunicazioni pubblicitarie relative alla propria farmacia ovvero all’esercizio di cui all’art. 5 della legge 248/2006, negli studi, ambulatori medici e veterinari, cliniche e strutture sanitarie e socio assistenziali”. L’illecito deontologico ha qui chiara valenza concorrenziale e, pertanto, costituisce senz’altro un comportamento integrante la concorrenza sleale, con potenziale obbligo del risarcimento del danno subito dai concorrenti.

Sconti e concorrenza sleale – L’art. 11, comma 8 del Dl 1/2012 ha esteso la praticabilità degli sconti ai prezzi di tutti i farmaci e prodotti pagati direttamente dai clienti, cosicché non è più illecito, e tanto meno concorrenza sleale, proporre sconti e poi pubblicizzarli. Questa liceità, però, non coincide con la legittimità di un loro uso indiscriminato. Per esempio, pur sempre è vietato il dumping, così come configura concorrenza sleale l’applicazione di sconti non già a tutta la clientela, bensì soltanto a categorie predeterminate. L’art. 5 comma 3 del Dl 223/2006, infatti, precisa che gli sconti devono essere praticati a tutti gli acquirenti, così come l’art. 11, comma 8 del Dl 1/2012 stabilisce l’obbligo di darne “adeguata informazione alla clientela”, vietando quindi pratiche discriminatorie.
In conclusione, la concorrenza sleale è una fattispecie aperta, in quanto si manifesta attraverso comportamenti mutevoli nel tempo, per il variare delle situazioni di mercato e normative. Discriminante rimane sempre il fatto che questi comportamenti, per figurare l’ipotesi di illecito, devono non essere conformi alla correttezza professionale ed essere tali da danneggiare l’altrui farmacia.