Medicina narrativa e aderenza terapeutica

Modalità con cui affrontare una patologia non limitandosi agli effetti clinici ma considerandola in ambito più ampio, sistemico, rispettoso di tutta la persona.

Il concetto di “Medicina narrativa” è abbastanza recente: nasce negli anni ’90 negli Stati Uniti, e precisamente alla Harvard Medical School. Indica la modalità con cui affrontare una specifica patologia non limitandosi ad analizzarne i suoi effetti clinici, ma analizzandola in un ambito più ampio, sistemico, rispettoso di tutta la persona assistita. Rappresenta, quindi, il modello empatico che favorisce nel paziente un’elevata aderenza al trattamento e, nell’operatore sanitario, un’attività che punta a rilevare come il paziente viva la sua malattia. In pratica, è un ritornare alla medicina ippocratica, che comportava nel medico, oltre alle conoscenze scientifiche, capacità di dialogo e soprattutto di ascolto.
La nascita dei grandi ospedali e la scoperta di strumenti diagnostici avevano, infatti, fatto passare in secondo piano il racconto del paziente e favorito nel medico un approccio spersonalizzato. Così, il processo diagnostico comportava un’analisi predefinita dei segni patologici e dei sintomi evidenziati dal malato, attraverso i quali giungere a quadri terapeutici unitari e predeterminati. Così, in questo modello “biomedico” si trattava la malattia, non il malato. Nella medicina narrativa (ma si può parlare anche di “Sanità narrativa” o più specificatamente di “Farmacia narrativa”), ciò che conta non sono soltanto i disturbi anatomici o fisiologici rilevati, ma anche il modo con cui il paziente si pone in relazioni a essi. Quindi, non conta soltanto la verità oggettiva, ma anche quella soggettiva. Ne consegue che è importante far parlare il malato, ascoltarlo, sentire il modo con cui lui racconta il proprio disturbo.
La medicina narrativa non deve però sfociare in uno sfogo, perché rappresenta pur sempre un approccio terapeutico e non un dialogo tra conoscenti o un parlarsi addosso. Proprio per questo non è soltanto il paziente a essere coinvolto in questa costruzione della storia della malattia, ma anche il medico, il farmacista, l’operatore sanitario deve essere in condizione d’individuarne i significati reconditi. Quindi, la medicina narrativa non si riferisce soltanto al vissuto del paziente, ma anche al vissuto del medico o dell’operatore sanitario in genere e alla loro relazione.
Una volta che questo processo si realizza, avremo un maggior coinvolgimento del paziente, con netto miglioramento del rapporto terapeutico e dei suoi esiti clinici. Quindi, la medicina narrativa segna un ulteriore passo avanti nel rapporto medico-paziente, una metodologia che non rinnega le evidenze cliniche, ma le completa, facendole calare nel vissuto del singolo paziente, che va coinvolto nel processo di cura, anche per ottenere una migliore aderenza terapeutica.