Franchising

Tecnica con cui il licenziatario fornisce in via continuativa al licenziante la propria esperienza tecnico commerciale dietro compenso.

Tecnica di marketing grazie alla quale il licenziatario (franchisor), dietro compenso anche dilazionato su basi forfettarie o percentuali, fornisce in via continuativa al licenziante (franchisee) tutta la propria esperienza tecnico-commerciale.

Il franchising nasce poco meno di 50 anni fa ed è una forma di retail che prevede affiliazione, dalla quale derivano, poi, un ventaglio di benefici per chi decide di aderire alla formula del franchising. Per esempio, formazione del personale, studio del layout del punto vendita, assistenza nell’allestimento del merchandising: un affiancamento a 360°.

Fin dall’epoca dei fenici, degli egizi, dei mercanti fiorentini, di quelli veneziani e via dicendo il commercio si è sviluppato adeguandosi sempre ai tempi e alle necessità dei protagonisti dello scambio: venditori e acquirenti. Limitarsi a studiare le moderne catene di vendita o le imprese impegnate nell’e-commerce, pensando che il commercio abbia attraverso loro finalmente trovato il suo punto d’arrivo, significa ignorare le cause che hanno influito (e che continueranno a influire) su questo continuo rinnovamento del retail.

Si tratta di un processo inarrestabile, esposto oggi ai cambiamenti dei consumi, dettati da un individuo sempre meno fedele alle tradizioni, sempre più esigente e preparato, sempre più mobile e informato, con sempre meno tempo a disposizione. Un consumatore, quindi, sempre più difficile da gestire e accontentare dal singolo negoziante indipendente, spesso peraltro estraneo a questi fenomeni evolutivi. Da qui la necessità di far fronte ai continui aggiornamenti richiesti dal mercato.

È proprio quanto hanno fatto alcune categorie di negozianti, che per far fronte a un’industria più pervasiva e determinata, hanno dato origine a catene o centrali d’acquisto, conseguendo significativi benefici in termini di condizioni economiche e riduzione dei livelli di stock. Traguardi importanti, ma non di per sé sufficienti a influire sulla quotidiana gestione commerciale del punto vendita. La necessità di disporre di un ventaglio di elementi aggiuntivi, come la ricerca della migliore location, la formazione del personale, lo studio del layout del punto vendita, l’assistenza nell’allestimento del merchandising, l’opportunità di usufruire di servizi a costi ridotti, pur beneficiando di economie di scala hanno favorito una nuova formula di rapporto tra produttore, distributore intermedio e retail. Un affiancamento a 360 gradi. Per soddisfare, in un’unica soluzione tutte queste esigenze è nata in Italia, poco meno di cinquant’anni fa, il franchising.

Questo scenario è, per certi versi, molto simile a quello che ha spinto la farmacia, realtà per consuetudine autonoma e avulsa dal retail convenzionale, a cercare collaborazione e assistenza in un sistema centralizzato. Sotto la spinta di eventi e sollecitazioni, con il tempo sempre più crescenti, ha trovato forme di cooperazione e associazionismo le cui caratteristiche erano essenzialmente basate sulla centralizzazione degli acquisti. Aspetto di rilevante importanza, ma non sufficiente a colmare le necessità di una categoria più propensa a concentrare il suo impegno sulla gestione professionale, piuttosto che su quella manageriale.

Il sistema del franchising, così come oggi lo conosciamo, ha origini lontane e deriva da un’evoluzione di diversi sistemi di collaborazione e affiliazione. Processi similari al franchising, se pur denominati in maniera diversa, erano già apparsi all’inizio dell’Ottocento in Europa e negli Usa. Tra questi c’è il noto “contratto della birra”, utilizzato per la prima volta dai produttori di birra olandesi e scozzesi che, per esportare il prodotto negli Stati Uniti mantenendo il loro marchio, si affidarono a rivenditori e distributori locali autorizzati. Difficoltà economiche e instabilità dei mercati hanno poi fatto sì che per tutto l’Ottocento negli Stati Uniti venissero usate formule di concessione e licenze. Numerosi operatori economici a corto di capitale si affidavano, per distribuire le loro merci, a rivenditori e intermediari a cui, a fronte di un riconoscimento economico, venivano concessi benefici ed esclusiva del prodotto.

Il padre accreditato del franchising “moderno” risponde al nome di Isaac M. Singer. Questi, pur avendo sviluppato un’innovativa macchina da cucire, incontrava difficoltà nel distribuirla sul mercato. Risolse il problema offrendo licenze per vendere il suo prodotto in territori specifici e, con il capitale raccolto da queste concessioni, fu in grado di costruire altre fabbriche sul territorio, riducendo così i costi di produzione. I licenziatari beneficiarono anche di supporti, furono infatti anche “formati” per insegnare ai clienti come utilizzare le opportunità offerte da questa nuova macchina. In aggiunta, i termini del rapporto tra franchisor e franchisee (anche se al tempo questi termini non erano ancora stati adottati) furono racchiusi in un contratto legale. Questo fu l’inizio del concetto di “know-how”.

In epoche successive anche Henry Ford giocò un ruolo importante nella progettazione del modello del franchising. Dopo aver trasformato la produzione di massa in una scienza vera e propria, intuì che avrebbe dovuto perfezionare anche il sistema distributivo. E lo fece creando una rete di concessionari in tutto il Paese.

Anche la Esso, dapprima proprietaria delle stazioni di rifornimento, si sviluppò e crebbe offrendo ai gestori forme di collaborazione diverse rispetto alla dipendenza diretta.
In Francia, presso un lanificio di Roubaix, fu creata la prima grande catena di magazzini specializzati nella vendita di lane per lavorare a maglia: le “Laines du Pingouin”. Si associarono dei dettaglianti indipendenti dal produttore mediante un contratto che garantiva loro l’esclusiva del marchio, peraltro sostenuto da campagne pubblicitarie, in una zona territoriale ben definita. Tale contratto, a quell’epoca non si chiamava ancora franchising, ma nelle sue grandi linee ne possedeva già tutte le caratteristiche. All’inizio della seconda guerra mondiale, nel 1939, la rete Pingouin contava ben 350 distributori, mentre oggi, soltanto in Francia, esistono oltre 1.200 punti vendita.   

Il franchising vero e proprio, almeno nella formula più vicina a quella attuale, nasce invece agli inizi del Novecento. Dimostrata la sua flessibilità e redditività, questo sistema ha iniziato lentamente a diffondersi anche in altri Paesi europei, attraversando i confini di Francia e Usa. Il vero e proprio “boom” del franchising, ovvero la sua massima diffusione, avvenne solamente negli anni ’50 negli Stati Uniti con le ormai note catene di ristorazione e fast food.
In Italia l’approdo documentato del franchising ebbe luogo negli anni ’70, quando un’azienda di distribuzione, la Gamma d.i., inaugurò a Fiorenzuola (Piacenza) il primo punto vendita. Il primo di altri 55 a conduzione diretta e di una decina di affiliati, dando così vita alla prima vera rete di franchising italiana.
La Gamma d.i., poi assorbita dalla Standa, offriva ai propri affiliati una serie di servizi, quali sopralluogo da parte dei propri funzionari per la ricerca dei locali più idonei, progettazione delle strutture di vendita, del magazzino e degli spazi destinati al pubblico, istruzioni per il personale direttivo e formazione per quello di vendita, assistenza in occasione del lancio di apertura e dell’inaugurazione dell’unità. Il tutto a fronte della disponibilità di un locale destinato al pubblico di almeno 350 mq, una licenza di magazzino unico e un capitale (di allora) di 25-30 milioni di lire.

Nel tempo la sostanza non è cambiata. Il franchising, infatti, è rimasto una formula contrattuale per la distribuzione di beni o servizi tra imprenditori (affilianti e affiliati), economicamente e giuridicamente indipendenti l’uno dall'altro.

Il franchising, o contratto di affiliazione commerciale, è tra le tipologie di collaborazione oggi più diffuse al mondo. Rappresenta un ottimo sistema per intraprendere in proprio un’attività commerciale al dettaglio (nuova o anche già esistente), riducendo il rischio d’impresa e usufruendo di know-how, esperienze, format gestionale e organizzativo collaudati da un’azienda di successo.
Nella quasi totalità dei casi, l’affiliato potrà utilizzare un marchio noto e consolidato sul mercato, a volte con un consistente budget pubblicitario, accedendo a servizi e conoscenze esclusive dell’affiliante. Nell’espansione della rete, l’affiliante ha il vantaggio di distribuire, spesso in esclusiva, i propri beni o servizi su larga scala, decentrando obblighi, oneri e responsabilità sui punti vendita affiliati.

La formula del franchising presenta diversi vantaggi, ma anche impegni e doveri per entrambe le parti interessate, condizioni che hanno contribuito, sin dalle origini, alla sua diffusione in tutto il mondo. Come dimostra la storia, il franchising è riconosciuto come uno dei sistemi d’impresa migliore in periodi economici instabili e difficili, capace di incrementare l’auto-imprenditorialità, favorendo il raggiungimento di indiscussi successi. Non è, infatti, un caso che il franchising si confermi un sistema di grande attualità e che insegne multinazionali, anche in tempi odierni, si rivolgano a esso per diffondere marchio e prodotti.

Da un punto di vista operativo può essere definito un modello di business in grado di colmare un divario esistente tra chi vuole lavorare per qualcun altro e, nello stesso tempo, lavorare per sé stesso. Sulla base di una legge che regolamenta il franchising, esso è definito “un contratto in base al quale una parte (il franchisor) concede all’altra (il franchisee) l’uso, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni industriali, commerciali, insegne, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”.
Il successo di questa formula si basa sul principio tra quanto l’affiliante guadagna dall’attività della rete e quanto l’affiliato ricava dall’attività individuale nel mercato di competenza.

Per l’affiliante il vantaggio principale è la possibilità di utilizzare i diritti d’entrata e le royalty riconosciute con il tempo dall’affiliato. Questi introiti vengono impiegati dall’affiliante per finanziare l’operatività dell’azienda, per rifornire la rete, per sviluppare attività di supporto e per migliorare la qualità dei prodotti o dei servizi forniti ai vari affiliati. Per ques’ultimi i vari benefici, come la forza di un marchio noto, la riduzione dei costi attraverso acquisti centralizzati, l’utilizzo di un modello operativo consolidato, le campagne pubblicitarie locali oppure nazionali favoriscono una maggiore possibilità di successo rispetto a un’iniziativa individuale, soprattutto nella formazione in fase di start up, nel supporto operativo continuativo, nell’assistenza della ricerca ottimale dei locali. Comunque sia, pur con tutti i presupposti di una buona riuscita viste le premesse, non esiste, come per qualsiasi iniziativa imprenditoriale, alcuna garanzia di successo.

I dati di chiusura del 2017, forniti dal Rapporto 2018 di Assofranchising, associazione che rappresenta la categoria e che riguardano l’intero comparto presente nel Paese, hanno evidenziato tre interessanti aspetti.
• Una crescita costante del giro d’affari, dei punti vendita in affiliazione commerciale e degli addetti occupati, specchio di un segnale di ripresa del Paese che il franchising ha saputo cogliere meglio di altri.
• Un pressochè stabile numero di insegne che attuano la politica del franchising in Italia.  Dato che, letto con il punto precedente, esprime un giudizio positivo: il mercato si stabilizza e le aziende che intraprendono questa formula commerciale si confermano tra quelle con maggior performance.
• Un boom di aperture all’estero (+28,1%). Il made in Italy del franchising ha raggiunto importanti livelli e ha la capacità per essere esportato con successo.

La rete presente nel nostro Paese è costituita da franchisor quasi totalmente italiani e sfiora il 90%. Quelle in grado di vantare almeno tre punti vendita sono 929, praticamente la totalità. Che il settore goda, poi, di buona salute lo dimostrano i dati relativi al 2017, in assoluto la migliore performance dalla nascita di questa tipologia di mercato.

Un aspetto caratteristico di questi punti vendita consiste nell’incremento dei negozi e del volume d’affari, oltre che nella superficie complessiva occupata dai locali che, nei due terzi delle circostanze, è inferiore ai 100 metri quadrati (magazzini e servizi accessori compresi). La presenza del franchisor favorisce questo punto, agendo come supporto e garantendo un contenuto livello di scorte a fronte di una frequente attività di rifornimento. Un’ulteriore componente del rapporto è costituita dalla durata del contratto, elemento imprescindibile su cui le due parti basano i loro rapporti. Un periodo compreso tra i tre e i sei anni riguarda il 96% dei casi.
Interessante risulta, poi, essere la composizione delle attività merceologiche che costituiscono l’intero comparto del franchising. A conferma della tendenza del consumatore italiano nel prestare sempre maggior attenzione all’aspetto salutistico, il settore “Beauty, cura e benessere della persona”, con un incremento del 4,8%, è risultato al di sopra della media del mercato.

È possibile affermare che questo sistema organizzato in rete è in grado di influire su uno svariato numero di iniziative, fungendo da volano per la promozione dell’occupazione. Soprattutto può essere un’opportunità per promuovere un’imprenditoria giovane, considerato che con questa formula si cede sì l’utilizzo del brand, ma soprattutto la formula del business che, insieme con altri fattori, quali la semplicità del modello e la standardizzazione dei processi, è ciò che caratterizza il successo del franchising. La dinamicità che caratterizza questo settore necessita, in ultima analisi, di modelli in grado di rispondere alle esigenze dei “nuovi consumatori”, sempre più attenti alla qualità e vincolati dalla convenienza dei prezzi.

Al di là della merce, gli elementi che rivestono la maggior importanza ai fini del successo del franchising, riguardano la marca, il know-how, e l’assistenza.
La marca. L’insegna, la denominazione commerciale, gli elementi decorativi esterni e interni del punto vendita, i mezzi promozionali, costituiscono l’immagine della marca. Consentire all’affiliato di beneficiare di questi elementi significa fornirgli una serie di strumenti tali da agevolare, sin dal primo giorno, un avviamento commerciale favorevole. A questo riguardo, tra le condizioni imposte all’affiliato, vi è, però, quella di uniformarsi ai criteri stabiliti per quanto riguarda l’attrezzatura e la presentazione del locale di vendita. Le eventuali verifiche esercitate sono giustificate dalla necessità di proteggere e salvaguardare non solamente il marchio, ma anche l’intera rete distributiva.
Il know-how. È la proprietà intellettuale dell’impresa affiliante, un patrimonio cioè di conoscenze pratiche non brevettate, derivanti da esperienze e da prove effettuate nel tempo. In altri termini è un complesso di metodi operativi, esperienze e procedure che mettono in grado un operatore di diventare un partner di una rete in franchising. Il know-how, che l’affiliante trasferisce all’affiliato, è il risultato di un lavoro lungo, preciso, verificato e formalizzato, talvolta in punti vendita pilota, in modo da consentirne l’utilizzo tecnico e commerciale. Si tratta di un elemento molto importante, in quanto consente all’affiliato di beneficiare di un vantaggio immediato, limitando possibili errori dovuti alla poca esperienza. La sua presenza giustifica, peraltro, la richiesta da parte dell’affiliante di un diritto d’entrata. È il know-how che, unitamente all’immagine dovuta al marchio e all’immagine della rete, mette in grado il nuovo punto vendita di porsi sul mercato con un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti indipendenti.
L’assistenza permanente. Terzo fondamentale elemento dell’accordo consiste nell’impegno e nella garanzia di un supporto tecnico e commerciale fornito dall’affiliante tramite personale proprio od organizzazioni esterne adeguatamente formate. La durata nel tempo di una rete di franchising è sostenuta e assicurata dal costante supporto e aggiornamento attuati. Al di là delle definizioni ufficiali, il franchising può essere così sintetizzato: “Una forma di collaborazione commerciale tra imprenditori indipendenti regolata da contratto e nella quale una parte concede a terzi il diritto di utilizzare il proprio marchio ed eventuali altri segni distintivi per la vendita di prodotti o prestazioni di servizi, sulla base di un sistema di marketing esclusivo sviluppato dall’affiliante”.

Fra le svariate attività commerciali presenti nelle reti di franchising, si nota l’assenza della farmacia. Stando allalegge (ancora abbastanza fluttuante) e alla miriade di referenze trattate, l’unica strada al momento percorribile potrebbe essere, per chi è interessato, l’accesso a una rete costituita da un’impresa di distribuzione.
Già da tempo, a partire dagli anni settanta, un numero sempre maggiore di farmacisti, pur mantenendo la propria indipendenza, aveva deciso, centralizzando gli acquisti, di accorparsi in catene virtuali. Secondo Iqvia, in un cambio radicale dello scenario prevedibile in un prossimo futuro, il 40% delle farmacie sarà soggetto a qualche formula di aggregazione. Non soltanto, perché leggi permettendo, nell’arco di due o tre anni si prevede che il 20% potrebbe far parte di catene di proprietà. Facile immaginare che il mercato del futuro vedrà aumentare la sua competitività, sia tra farmacie indipendenti, aggregate in catene virtuali, o acquisite da grossi gruppi, ma anche tra i vari canali del retailing interessato: farmacia, parafarmacie, e-commerce e Gdo.

Nessun dubbio sul fatto che la farmacia sarà la realtà maggiormente interessata da questi cambiamenti. I network destinati a nascere si troveranno di fronte a un lavoro impegnativo, a partire dalla riconoscibilità dell’insegna, attraverso un’immagine individuabile e una comunicazione comune a tutta la rete. Le farmacie, nel limite degli spazi, dovranno essere identificabili anche all’interno, possedere un layout preciso, un assortimento sviluppato con attività di merchandising e una serie di servizi standard. Occorrerà fare maggior ricorso a operazioni promozionali, creare gamme di private label, diffondere programmi di fidelizzazione. Per il personale dipendente serviranno, in funzione del ruolo e delle responsabilità, corsi di formazione e aggiornamento (la competizione comporterà capacità nell’arte della vendita, diversa da quella della dispensazione). Solamente dando origine a iniziative comuni e condivise, infatti, sarà possibile far fronte a una concorrenza che si preannuncia preparata e agguerrita.

Il fenomeno dell’associazionismo si spiega con i vantaggi che derivano da questa formula e certamente enfatizzati dalla crisi di questi ultimi anni. Grazie alla catena la farmacia migliora la produttività per addetto, perché una serie di incombenze affidate al personale vengono demandate al centro servizi che, pur operando per più titolari, riesce comunque sia a essere più efficiente.
Le aggregazioni, tuttavia, non sono tutte uguali e ogni modello mostra un differente impatto sulla struttura organizzativa della farmacia. Nel caso della catena integrata, per esempio, le attività demandate alla centrale possono comprendere la gestione di una parte degli acquisti, del relativo assortimento e di iniziative promozionali, l’indicazione di sconti su una ristretta gamma di prodotti e la stampa di volantini. Soltanto occasionalmente si impegnano nella fornitura di servizi, se non per alcuni a livello marginale.
Molto più pervasiva, invece, è l’aggregazione in franchising, dove la centralizzazione dell’attività si estende anche alle vendite, al controllo di gestione, con associati vincolati contrattualmente al raggiungimento di specifiche performance. Il modello più sofisticato di catena, infine, è indubbiamente quello della proprietà, in cui tutte le attività, gestione del personale compresa, vengono demandate al gruppo e il singolo punto vendita non è altro che un terminale operativo della rete.

Lo scenario fin troppo competitivo con cui la farmacia si dovrà confrontare obbliga i titolari a imprimere alle proprie aziende un drastico sviluppo dell’efficienza. C’è chi ha le competenze per riuscirci anche da solo, la maggioranza, invece, può raggiungere l’obiettivo soltanto se si integrerà in gruppo, per sfruttare i processi virtuosi dell’associazionismo.
Essere farmacisti oggi è sicuramente più difficile di quanto lo fosse in passato. I motivi possono essere ricondotti ad alcuni fenomeni sostanziali: cambiano i consumatori, cambia l’atteggiamento della società nei confronti della salute, cambia il rapporto tra cittadino e Stato, cambia anche il mercato e la distribuzione del farmaco. La professione del farmacista, condizionata da un’incessante evoluzione tecnologica, dal costante progresso scientifico, dai continui cambiamenti socio-culturali, legislativi e amministrativi, deve fornire una risposta alle nuove sollecitazioni del mercato. Servono così rapide soluzioni in grado di allievare il titolare da una serie di incombenze burocratiche, amministrative e commerciali, in grado di sostenerlo nella ricerca e nella realizzazione di nuove idee e progetti di sviluppo.

Il gruppo d’acquisto, integrandosi nella gestione degli associati, assume in proprio alcune funzioni, garantendo un ventaglio di servizi e, grazie alle economie di scala, anche un risparmio sui costi. Pur lasciando al titolare la funzione imprenditoriale della gestione e dello sviluppo del proprio punto vendita, il gruppo è in grado di accentrare quelle attività complementari che, per motivi di costi e strutture, presentano difficoltà nella gestione da parte della singola farmacia. La difficoltà nell’effettuare scelte supportate da dati o esperienze comuni, la fine di un sistema monopolistico, la crescita della pressione di altri canali, rappresentano fattori che, negli ultimi anni, non soltanto non hanno favorito uno sviluppo della farmacia, ma hanno contribuito a determinare una progressiva contrazione del suo risultato economico.

La formula cooperativistica, realtà distributiva ampiamente diffusa anche in altri settori merceologici -dal bene durevole a quello di largo consumo- è, invece, in grado di proporre una serie di benefici non sempre accessibili da parte del singolo. Il risultato finale, grazie all’appartenenza a un gruppo, gestito come perno di un sistema integrato, è quello di agire sui costi, accrescendo di conseguenza i profitti. L’opportunità di migliorare le condizioni commerciali sugli acquisti e di conseguire un risparmio finanziario per la riduzione delle scorte, rappresentano i due elementi immediatamente riscontrabili. La possibilità, ancora, di accedere a quantità moderate di articoli di recente presenza sul mercato, e pertanto a vendibilità ancora incerta (quanto si è ridotto in questi ultimi anni il ciclo di vita di un prodotto!), ridurre il rischio della rottura di stock, avere maggior tempo da dedicare al cliente, disporre di collaboratori preparati, sono, invece, fattori in grado di incidere sull’immagine del punto vendita e sulla soddisfazione del pubblico. Il limite di questa formula, a causa di un retaggio che farmacista non riesce a rimuovere, è però quello di circoscrivere il principale contributo alla centralizzazione degli acquisti.
La riduzione dello stock e dei relativi carichi di lavoro sono solamente un primo risultato prodotto dall’aggregazionismo. Il secondo, quello raggiungibile attraverso lo sviluppo delle vendite, lo deve produrre il titolare di farmacia nella sua nuova funzione imprenditoriale, nella gestione e nello sviluppo del proprio punto vendita.

Alla voce “associazionismo” il Dizionario di Economia e Finanza fornisce la seguente definizione: “In economia aziendale, rappresenta il processo di concentrazione tra più imprese che, pur conservando una loro fisionomia individuale, concordano, attraverso contratti di varia natura, una comune politica produttiva, organizzativa o di vendita”.
Per quanto sintetica e formale, questa definizione rappresenta in maniera chiara il percorso che numerose farmacie hanno negli anni intrapreso, delegando al gruppo di appartenenza una serie di attività, con un preciso obiettivo, quello di contribuire cioè, ognuno in base alla propria capacità e perseguendo scelte comuni, a rendere più forte il proprio gruppo. Si tratta, è il caso di sottolinearlo, di un senso di appartenenza purtroppo ancora parziale e lacunoso. L’esperienza insegna che lo spirito di indipendenza dei farmacisti non sempre coincide con i fondamenti dell’aggregazione.

Erroneamente si ritiene che l’appartenenza a un “gruppo d’acquisto” (ma forse, per fornirgli un senso più realistico bisognerebbe chiamarlo “gruppo di vendita”) debba comportare due vantaggi: un miglioramento delle condizioni commerciali e una riduzione delle quantità acquistate. Questi benefici rappresentano il risultato di un impegnativo percorso di collaborazione tra il singolo associato, il nucleo centrale e l’industria produttrice e non, come spesso si è portati a pensare, un diritto acquisito in maniera incondizionata.
È difficile ottenere miglioramenti nella negoziazione con i fornitori se manca un coinvolgimento attivo e coeso dei soci e, pertanto, la condivisione di scelte comuni e la fedeltà all’acquisto rappresentano due punti fondamentali. Bisogna, quindi, superare la cultura fondata sull’individualismo e fare spazio a modelli organizzativi diversi e interdipendenti. Ne consegue che i vantaggi dell’appartenenza a un gruppo devono essere valutati in maniera più completa e articolata, senza limitarsi al solo aspetto economico. Lasciarsi tentare da acquisti occasionali e speculativi presso fornitori alternativi significa minare la credibilità e la forza gruppo stesso. Tutti i servizi e i vantaggi commerciali erogati sono resi possibili solamente grazie alla fedeltà dei singoli associati e al loro livello di collaborazione. Quello che, in altri termini, si chiama “senso di appartenenza”.


Esempi pratici di franchising

È possibile capire come siano state realizzate iniziative di franchising nel campo della salute e benessere, quindi anche in farmacia, analizzando alcune esperienze concrete: LloydsFarmacia, Zur Röse, Hippocrates Holding,  Dr.Max.